IL PUNTO DI PAOLO UGGÈ
La prima fase della tornata elettorale si è conclusa e, in attesa dei ballottaggi, le valutazioni politiche si sprecano. Talune sfiorano anche il ridicolo.
Sul referendum i dati dimostrano che il 31 per cento circa dei votanti ha condiviso le ragioni del fronte del No, mentre il 69% ha dato il via libera alle modifiche che produrranno la riduzione, ma solo dalla prossima legislatura, del numero dei parlamentari. Occorreranno ancora quattro leggi, una di rango costituzionale, e questo ci lascia intravvedere la forte possibilità che la legislatura arrivi alla scadenza naturale.
Anche in questo caso vi sono forze politiche che ritengono la necessità di anticipare le elezioni, in quanto con la riduzione determinata, il Parlamento in carica sarebbe delegittimato anche dal fatto che il numero delle regioni guidate da una maggioranza di segno opposto a quella che governa è significativa. Da qui la richiesta avanzata dei partiti di opposizione che riterrebbero corretto il ricorso alle urne. Questa visione è oggetto di dibattiti ed ovviamente contestata dai partiti che sorreggono la maggioranza che sostiene il Governo. Il tutto non concorre a migliorare le cose ma a determinare una situazione complicata che rischia di rendere più complesso governare il Paese (intanto si paventa già una nuova proroga dello stato di emergenza). Questo non è bene per i cittadini e per le imprese ma serve a qualcuno per restare in sella e per ottenere quella proroga al 31 dicembre che aveva richiesto a luglio ma che era stata negata. Non ci è riuscito allora e ci riprova ora.
Abbiamo anche leaders (?)che si intestano il risultato della vittoria del Si al referendum dimenticandosi che anche tre partiti di opposizione hanno sostenuto il Sì. Questo lascerebbe intendere che senza il 70% c.a. dell’elettorato che fa riferimento a quei partiti la vittoria del sì probabilmente non sarebbe stata raggiunta.
Abbiamo anche coloro che si limitano a considerare le Regioni mantenute e non tengono conto che, in quasi tutte, i partiti di governo hanno perso consenso elettorale. Basta osservare le percentuali. E’ vero che non si può sottacere che molto nelle competizioni amministrative dipende da fattori locali e soprattutto dai candidati ma trasformare dati inoppugnabili in una vittoria è un tentativo sconcertante, se non ridicolo, ed solo una comunicazione finalizzata. Oltretutto occorrerebbe aggiungere che mentre i partiti di opposizione che governavano alcune regioni hanno incrementato i loro consensi, oltre a conquistare una regione, quelli di Governo hanno, in genere, perso dei consensi, anche laddove hanno conservato la guida dell’Ente locale. Insomma la situazione è ingarbugliata e complicherà il futuro. Non si deve sottovalutare che la maggioranza ha anche perso un seggio al Senato.
Queste non sono analisi da politico/politicante ma semplici considerazioni basate su dei dati di fatto che si reggono semplicemente sui numeri.
Intanto non possiamo fare a meno di constatare come già si pensi a definire le norme sullo Jus soli e parta il dibattito, con evidenti contrasti, sulle norme elettorali. Possibile che non si comprenda come il Paese abbia la necessità innanzitutto di definire come comportarsi sul possibile ottenimento del prestito attraverso gli strumenti che l’Unione europea ha messo a disposizione? Che si debbano trovare interventi condivisi e utili al rilancio della nostra economia visto che, così attestano purtroppo i dati il Pil, continua a perdere punti? La gente chiede lavoro e la ripresa degli indicatori economici innanzitutto, oltre alla messa a disposizione concreta degli interventi annunciati e realizzati, ad oggi, solo parzialmente.
Credo ci si dovrebbe concentrare su interventi che siano da volano per rilanciare l’economia. Tra questi, senza ombra di dubbio, le più utili hanno a che vedere con le accessibilità e con le infrastrutture. Se il Paese non viene connesso non potrà ottenere il necessario rilancio. Non comprendere, un esempio banale, che se i porti non recuperano competitività e se le merci continueranno a trovare ostacoli per raggiungere il luogo di destino, il sistema produttivo o proseguirà a delocalizzare o chiuderà le attività. L’uscita del ministro del Sud sul Ponte dello Stretto è la dimostrazione evidente che dopo la tornata elettorale (si votava a Reggio Calabria) si trovano subito le scusanti per non realizzare un’opera di natura europea. Il Ponte, ricordo era parte del corridoio Berlino-Palermo, finanziato dalla Comunità europea. I camaleonti sono ancora tra di noi! E non parlo del grande complesso musicale.
Intanto abbiamo un ministro che ritiene di dover intervenire sulle compensazioni delle accise per il gasolio in nome del simulacro dell’ambiente. Ebbene l’agenzia Ue attesta che con la riduzione delle emissioni del 4% nel 2019 sarebbe già stato raggiunto e superato l’obiettivo fissato dalla stessa Unione europea. Non si potranno consentire furbizie al solo scopo di fare “cassa”.
Si vuol provare a scontrarsi con l’autotrasporto? Si accomodi ministro Costa e troverà pane per i suoi denti.
Mi permetto di ricordare che il fermo dell’autotrasporto fu una delle concause che nel 2008 portò alla fine della legislatura. Il presidente del Consiglio farebbe bene a non dimenticarlo.
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