IL PUNTO DI PAOLO UGGÈ

12 Marzo 2021 TUTTE LE CIRCOLARI

IL PUNTO DI PAOLO UGGÈ

“L’autotrasporto è stato ritenuto il settore che deve essere maggiormente salvaguardato sia a livello di singoli Paesi che nell’interesse comunitario”. A sostenere questo assunto non è un rappresentante del settore, bensì il presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Come si può non essere d’accordo?

Eppure guardando quanto succede in Europa, ai confini, non si direbbe sia così. Ogni paese introduce dei punti di controllo per effettuare verifiche sulla eventuale presenza del virus Covid 19, proprio sull’attività di autotrasporto. Qualcuno potrebbe non convenire ma se fosse frutto di un confronto, tra tutti, potrebbe forse avere un senso. Il problema è che i controlli sono sostanzialmente ed unilateralmente stati decisi da Austria e Germania. Non solo ma non si è pensato, di prevedere delle corsie dedicate per coloro che preventivamente, come consente la norma, hanno provveduto ad effettuare i tamponi prima della partenza del viaggio. Quindi l’obiettivo è proprio quello di individuare gli eventuali portatori di virus o altro?

Due puntualizzazioni si rendono necessarie. Innanzitutto tra i conducenti sottoposti, ai controlli, in questi giorni, la percentuale dei positivi è risultata essere dello 0,18%. Il perché di un tasso così basso dovrebbe essere compreso anche ai decisori che hanno previsto tali normative. I conducenti passano la gran parte del loro tempo lavorativo in solitudine sugli automezzi. La seconda osservazione produce una domanda che è relativa alla identificazione delle categorie da vaccinare in modo prioritario. Se gli autisti sono considerati soggetti a rischio perché allora non inserirli in quelle categorie? Siamo alle solite chiacchiere ed alle solite improvvisazioni frutto di superficialità. Credo invece che, fatte salvo le categorie fortemente a rischio, l’unico criterio valido sia quello legato all’età.

Non bastano le decisioni sul il virus a limitare l’economia nazionale. Nel prossimo mese di ottobre, per due mesi almeno, il traforo del Bianco verrà chiuso per esigenze manutentive. Nulla da eccepire ovviamente. Se il nostro Governo però non si attiverà con la determinazione necessaria per risolvere in sede comunitaria la questione legata alle limitazioni ideologico-ambientaliste adottate dall’Austria, ormai lo hanno compreso anche i sassi che lo scopo è penalizzare il sistema Italia, i divieti, superata la fase pandemica, torneranno in vigore. Pare evidente che la nostra economia nella piena fase di rilancio/ripresa, risulterà rallentata.

A questo rischiano di aggiungersi le disfunzioni degli uffici delle motorizzazioni che continueranno ad avere attività ridotte che non consentono di effettuare sia le revisioni che le immatricolazioni. Ma non è tutto. Le imprese di autotrasporto infatti dovranno versare contributi, magari retroattivi, all’Authority dei trasporti che regolerà nulla, tranne le proprie entrate. Affermare che le condizioni per rilanciare la produttività di un settore funzionale a favorire la ripresa non sembrano considerate non è improprio.

Sull’obbligo che impone alle imprese di autotrasporto di versare il contributo all’ART, come mi era stato richiesto, rendo evidente i nominativi dei deputati presentatori degli emendamenti che hanno esteso alle imprese di autotrasporto questa “gabella”, perché solo di questo si tratta. L’emendamento, è stato presentato dai deputati Flavio Di Muro (Lega) e Gianluca Rospi (M5 stelle).  La scelta di estendere l’obbligo di contribuzione all’ART alle imprese di autotrasporto è, tra l’altro, in evidente contrasto con quanto deciso dai legislatori all’atto di istituire l’Autorità. Non era previsto alcun obbligo di versamento. La conferma si può trovare nelle diverse sentenze dei Tar e del Consiglio di Stato, tutte in linea con l’interpretazione, del mancato obbligo. Il “colpo di mano” è quindi una vergogna (sembra quasi una marchetta) e finisce ancora a pesare sui costi delle aziende.

Giusto perché non ci si dimentichi: l’autotrasporto è quella attività che, grazie al sacrifico di tanti uomini e donne, definiti eroi, ha consentito all’Italia di non chiudere. Verrebbe da dire che gli “eroi” porgono sentiti ringraziamenti della riconoscenza dimostrata. Complimenti!

Con le limitazioni stupide, con la demagogia e forse l’ignoranza non si determinano le condizioni per dare al Paese le opportunità di competere con le altre economie. Ma è solo una mia convinzione oppure il rischio che questo modo di governare appartenga ad una precisa strategia?

Il Presidente del Consiglio ha sostenuto che la pandemia vada affrontata non dimenticando mai l’esigenza di non penalizzare l’economia. La scelta di utilizzare una Decreto Legge per emanare le nuove norme di contenimento, oggi deliberate, è certamente più aderente ai principi costituzionali, ma comunque limita le libertà. Confidiamo che presto ci si renda conto che l’economia di una realtà come l’Italia, se si prosegue solo con politiche fondate sui divieti, oltretutto dai dubbi risultati, rischia di entrare in un circolo dal quale il Paese difficilmente ne uscirà. Di questo il presidente Draghi ne è perfettamente cosciente.  A scuola se non si sapeva come fare un compito, si copiava. A noi mancava la supponenza e la convinzione di sapere tutto, come pensava invece chi ha governato il precedente Esecutivo, creando i presupposti che ci vedono ancora limitati nelle nostre libertà. Vi sono esempi di paesi, anche a noi vicini, che la crisi della pandemia l’hanno gestita con modalità diverse, chiusure mirate e controlli severi, i risultati si stanno vedendo. Noi veniamo ancora rinchiusi loro si avviano a ripartire. Allora copiamo e rifuggiamo dalla cultura del divieto, fine a sé stessa. I fatti dimostrano che non paga.

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